Che gli uomini fossero creature multiformi non era una novità per lo
Svedese, anche se era sempre un po’ uno choc doverlo constatare
nuovamente ogni volta che qualcuno ti dava una delusione. Ciò che lui
trovava stupefacente era il modo in cui gli uomini sembravano esaurire
la propria essenza – esaurire la materia, qualunque fosse, che li
rendeva quello che erano – e, svuotati di se stessi, trasformarsi nelle
persone di cui un tempo avrebbero avuto pietà. Era come se, mentre la
loro vita era ricca e piena, essi fossero, in segreto, stufi di se
stessi, e non vedessero l’ora di liberarsi del loro discernimento, della
loro salute e di ogni senso delle proporzioni per passare all’altro io,
il vero io: che era uno stronzo detestabile e completamente illuso. Era
come trovarsi in sintonia con la vita fosse qualcosa di accidentale che
poteva capitare, certe volte, ai giovani fortunati; mentre, per il
resto, era una cosa con la quale li esseri umani non riuscivano a
rapportarsi. Che strano. E che strano pensare che lui, che era sempre
stato felice di far parte della schiera infinita e indifesa dei
“normali” , poteva, in realtà, costituire l’anormalità, essere estraneo
alla vita reale proprio a causa delle sue radici, così grosse.
da Pastorale Americana di Philip Roth (1997)
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