mercoledì 29 febbraio 2012
Swimming cake
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L'importanza di sbagliare
Lotti contro la tua superficialità, la tua faciloneria, per cercare di
accostarti alla gente senza aspettative illusorie, senza un carico
eccessivo di pregiudizi, di speranze o di arroganza, nel modo meno
simile a quello di un carro armato, senza cannoni, mitragliatrici e
corazze d’acciaio spesse quindici centimetri; offri alla gente il tuo
volto più bonario, camminando in punta di piedi invece di sconvolgere il
terreno con i cingoli, e l’affronti con larghezza di vedute, da pari a
pari, da uomo a uomo, come si diceva una volta, e tuttavia non manchi
mai di capirla male. Tanto varrebbe avere il cervello di un carro
armato. La capisci male prima di incontrarla, mentre pregusti il momento
in cui l’incontrerai; la capisci male mentre sei con lei; e poi vai a
casa, parli con qualcun altro dell’incontro, e scopri ancora una volta
di aver travisato. Poiché la stessa cosa capita, in genere, anche ai
tuoi interlocutori, tutta la faccenda è, veramente, una colossale
illusione priva di fondamento, una sbalorditiva commedia degli equivoci.
Eppure, come dobbiamo regolarci con questa storia, questa storia così
importante, la storia degli altri, che si rivela priva del significato
che secondo noi dovrebbe avere e che assume invece un significato
grottesco, tanto siamo male attrezzati per discernere l’intimo lavorio e
gli scopi invisibili degli altri? Devono, tutti, andarsene e chiudere
la porta e vivere isolati come fanno gli scrittori solitari, in una
cella insonorizzata, creando i loro personaggi con le parole e poi
suggerendo che questi personaggi di parole siano più vicini alla realtà
delle persone vere che ogni giorno noi mutiliamo con la nostra
ignoranza? Rimane il fatto che, in ogni modo, capire bene la gente non è
vivere. Vivere è capirla male, capire male e poi male e, dopo un
attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi:
sbagliando. Forse la cosa migliore sarebbe dimenticare di avere ragione o
torto sulla gente e godersi semplicemente la gita. Ma se ci riuscite….
Beh, siete fortunati.
da Pastorale Americana di Philip Roth (1997)
I fiori di Amélie
Bisogna
diffidare dei fiori . Soprattutto a Pechino. Ma il comunismo per me era una
faccenda di ventilatori, e l’episodio dei Cento Fiori mi era sconosciuto quanto
Wittgenstein o Ho Chi Min. In ogni modo, coi fiori gli avvertimenti non servono
a niente: si casca sempre nella trappola. Cos’è un fiore ? Un sesso gigante che
si è messo in ghingheri. Questa è una verità risaputa; il che non ci impedisce,
scemi come siamo, di parlare leziosamente della delicatezza dei fiori. Si
arriva al punto di chiamare lo spasimante tonto “fiorellino candido”: una cosa
incongrua e inadeguata come definirlo “sesso candido”. A San Li Tun c’erano
pochissimi fiori, ed erano brutti. Ma erano fiori comunque. I fiori di serra
sono belli come mannequin, ma non hanno odore. I fiori del ghetto sembravano
vestiti di stracci: certi erano brutti come contadine che andavano alla
capitale, altri ineleganti come cittadine in campagna. Tutti sembravano fuori
luogo. Eppure, se si infilava il naso nella loro corolla, se si chiudevano gli
occhi e ci si tappavano le orecchie, veniva voglia di piangere- cosa mai può
esserci, in fondo ai fiori più comuni, dal profumo banalmente piacevole, cosa
mai può esserci di così straziante, perché quella nostalgia di ricordi che non
sono i nostri, di giardini mai conosciuti, di bellezze imperiali che non
abbiamo mai sentito nominare? In base a quale ragionamento la Rivoluzione
culturale non ha proibito ai fiori di profumare di fiore?
da Sabotaggio d'amore di Amélie Nothomb (1993)
martedì 28 febbraio 2012
Io ?
Che gli uomini fossero creature multiformi non era una novità per lo
Svedese, anche se era sempre un po’ uno choc doverlo constatare
nuovamente ogni volta che qualcuno ti dava una delusione. Ciò che lui
trovava stupefacente era il modo in cui gli uomini sembravano esaurire
la propria essenza – esaurire la materia, qualunque fosse, che li
rendeva quello che erano – e, svuotati di se stessi, trasformarsi nelle
persone di cui un tempo avrebbero avuto pietà. Era come se, mentre la
loro vita era ricca e piena, essi fossero, in segreto, stufi di se
stessi, e non vedessero l’ora di liberarsi del loro discernimento, della
loro salute e di ogni senso delle proporzioni per passare all’altro io,
il vero io: che era uno stronzo detestabile e completamente illuso. Era
come trovarsi in sintonia con la vita fosse qualcosa di accidentale che
poteva capitare, certe volte, ai giovani fortunati; mentre, per il
resto, era una cosa con la quale li esseri umani non riuscivano a
rapportarsi. Che strano. E che strano pensare che lui, che era sempre
stato felice di far parte della schiera infinita e indifesa dei
“normali” , poteva, in realtà, costituire l’anormalità, essere estraneo
alla vita reale proprio a causa delle sue radici, così grosse.
da Pastorale Americana di Philip Roth (1997)
lunedì 27 febbraio 2012
Human People
Il
problema degli umani è che non appena occupano uno spazio, sono loro che uno
vede e non lo spazio. Vasti paesaggi deserti smettono di essere vasti e deserti
se solo contengono una o poche più persone. Sono quelle che determinano dove si
poserà lo sguardo. E lo sguardo degli umani è quasi sempre diretto verso altri
umani. Così si crea l’illusione che sulla terra l’essere umano sia più
importante di tutto ciò che non è umano. E’ una malsana illusione. Può essere
che gli alci siano più importanti, in fin dei conti, dico a Bongo. Magari siete
quelli che ne sanno più di tutti, solo che avete una pazienza infinita.
Naturalmente ne dubito, ma chissà. In ogni caso non sono certo gli umani. Mi
rifiuto di crederlo.
* Doppler, vita con l'alce di Erlend Loe (2007)
Collage
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domenica 26 febbraio 2012
1.
Dicono che il nostro
primo blog non si scorda mai. Poi ci sono quelli che dicono il contrario. Io
non me lo sono dimenticato. Sono trascorsi sei anni. La rete se l'è preso,
aprofittando della mia disattenzione. Non so come è andata veramente, ma voglio
pensare che quando è successo io stessi dormendo. Anzi, è andata sicuramente
così. Inutile tormentarsi. Ripartire dalle ceneri per finire non so come. Per
quelli che se lo sono perso, ecco il mio primo post dell'epoca.
Corso di nuoto
La
vita nasce nell’acqua. L’acqua, non c’è che dire, è un liquido ospitale. Gli
organismi acquatici hanno forme adatte al galleggiamento e al nuoto. Un delfino
non penserebbe mai di iscriversi ad un corso di jogging. L’uomo , che per natura è incontentabile, non
si è limitato a sopravvivere nel suo ambiente terrestre, ma ha voluto
escogitare un sistema che, utilizzando l’acqua e coordinando l’uso dei polmoni
e della forza muscolare, gli permettesse
di sentirsi a suo agio in piscina. E
dato che non era ancora contento ha pure pensato di inventarsi dei corsi di
nuoto. Io mi sono iscritto a uno di quei corsi. E’ la seconda volta che ci
casco. La prima volta avevo cinque anni. Avevo paura dell’acqua alta, ma anche
l’acqua bassa mi procurava dei problemi. Trascorrevo la maggior parte delle
lezioni attaccate al bordo della piscina. I miei genitori erano orgogliosi dei
mie progressi. Si erano sbagliati, mi avevano confuso con un altro bambino.
Secondo loro i bambini con indosso una cuffia sono tutti uguali. Ho abbandonato
il corso. Mi sono rassegnato, non sarei mai diventato un membro dell’
International Swimming All of Fame. Sono passati quasi venticinque anni. Mi
sono nuovamente iscritto. Parto dal corso base. I miei genitori non vengono più
a vedere le mie lezioni.
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