lunedì 26 novembre 2012
domenica 18 novembre 2012
domenica 4 novembre 2012
Tennis, tv, trigonometria, tornado e altre cose divertenti che non farò mai più di David Foster Wallace
Diversi giorni dopo Murray mi
chiese se sapevo qualcosa di un’attrazione turistica nota come il fienile più
fotografato d’America. Guidammo per ventidue miglia nella campagna intorno a
Farmingtown. C’erano prati e alberi di melo. Recinzioni bianche si srotolavano
sui campi. Ben presto apparvero le prime insegne. IL FIENILE PIU’ FOTOGRAFATO
D’AMERICA. Ne contammo cinque prima di arrivare sul posto… Camminammo per un
sentierino fino alla collinetta che serviva ad ottenere una vista migliore.
Tutti avevano macchine fotografiche; c’era qualcuno con treppiede, lenti
speciali, filtri. Un uomo dentro un baracchino vendeva cartoline e diapositive
del fienile, fotografato proprio da lì. Ci mettemmo vicino a un boschetto e
guardammo i fotografi. Murray mantenne un silenzio prolungato, ogni tanto
scribacchiava qualcosa su un taccuino. Alla fine disse: “ Nessuno vede il
fienile.” Seguì un lungo silenzio. “ Una volta che hai visto le insegne per il
fienile, diventa impossibile vedere il fienile”. Si ammutolì di nuovo. Persone
con macchine fotografiche scendevano dalla collinetta , subito rimpiazzate da
altri. “ Non siamo qui per catturare un’immagine. Siamo qui per mantenerne una.
Lo capisci, Jack? E’ una accumulazione di energie senza nome “. Ci fu un altro
lungo silenzio. L’uomo nel baracchino vendeva cartoline e diapositive. “
Essere qui è una specie di resa spirituale. Vediamo solo ciò che vedono gli
altri. Le migliaia che sono stati qui nel passato, coloro che verranno in
futuro. Abbiamo accettato di essere parte di una percezione collettiva. Questo
letteralmente colora la nostra visione. In un certo è un’esperienza religiosa,
come ogni turismo”. Ne derivò un altro silenzio. “ Faccio fotografie del fare
fotografie “, disse.
sabato 3 novembre 2012
Considera l'aragosta di David Foster Wallace
Confesso di non aver mai capito perché tante persone siano
convinte che una vacanza divertente significhi mettersi infradito e
occhiali da sole e avanzare come formiche in un traffico infernale fino a
stazioni turistiche rumorose, calde e affollate, per assaggiare un “sapore
locale” che è per definizione rovinato dalla presenza di turisti. Questo potrebbe (come continuano a sottolineare i
miei compagni di festival) essere tutta una questione di personalità e gusti
precostituiti: il fatto che non mi piacciano le stazioni turistiche significa
che non capirò mai la loro attrattiva e di conseguenza sono forse la persona
meno indicata a parlarne (della presunta attrattiva). Ma visto che comunque
questa nota a piè di pagina quasi certamente non sopravvivrà all’editing del
giornale, ecco qua: Per come la vedo io, probabilmente fa davvero bene all’anima
essere un turista, anche solo se una volta ogni tanto. Non bene nel senso di
rigenerante o ravvivante, però piuttosto nel senso di truce, sguardo di
ghiaccio, guardiamo-in -faccia-la realtà-e-ritroviamo-il-modo-di-affrontarla. La
mia esperienza personale non è stata che viaggiare per il Paese ti apra la
mente o ti rilassi, né che i cambiamenti radicali di posto e contesto abbiano
un effetto salutare, bensì che il turismo internazionale sia radicalmente
asfissiante, e umiliante nel modo più duro possibile: ostile alla mia fantasia
di essere un individuo vero, di vivere in qualche modo al di fuori e al di
sopra di tutto. ( E adesso la parte che i miei compagni trovano particolarmente
infelice e repellente, un modo certo per rovinare il divertimento dei viaggi di
piacere:) Essere turisti di massa, per me, significa diventare puri americani
dell’ultimo tipo: alieni, ignoranti, smaniosi di qualcosa che non si potrà mai
avere, delusi come non si potrà mai ammettere di essere. Significa contaminare,
per mero ontologia, quell’incontaminatezza che si è andati a sperimentare.
Significa imporre la propria presenza in luoghi che sarebbero, in tutti i sensi
non –economici, migliori e più veri senza di noi. Significa, nelle code e negli
ingorghi, transazione dopo transazione, confrontarsi con una dimensione di se
stessi che è tanto ineluttabile quanto dolorosa: come turisti, diventiamo economicamente
rilevanti ma esistenzialmente deprecabili, insetti su una cosa morta.
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