domenica 4 novembre 2012

Bambina di Ilaria


Tennis, tv, trigonometria, tornado e altre cose divertenti che non farò mai più di David Foster Wallace



Diversi giorni dopo Murray mi chiese se sapevo qualcosa di un’attrazione turistica nota come il fienile più fotografato d’America. Guidammo per ventidue miglia nella campagna intorno a Farmingtown. C’erano prati e alberi di melo. Recinzioni bianche si srotolavano sui campi. Ben presto apparvero le prime insegne. IL FIENILE PIU’ FOTOGRAFATO D’AMERICA. Ne contammo cinque prima di arrivare sul posto… Camminammo per un sentierino fino alla collinetta che serviva ad ottenere una vista migliore. Tutti avevano macchine fotografiche; c’era qualcuno con treppiede, lenti speciali, filtri. Un uomo dentro un baracchino vendeva cartoline e diapositive del fienile, fotografato proprio da lì. Ci mettemmo vicino a un boschetto e guardammo i fotografi. Murray mantenne un silenzio prolungato, ogni tanto scribacchiava qualcosa su un taccuino. Alla fine disse: “ Nessuno vede il fienile.” Seguì un lungo silenzio. “ Una volta che hai visto le insegne per il fienile, diventa impossibile vedere il fienile”. Si ammutolì di nuovo. Persone con macchine fotografiche scendevano dalla collinetta , subito rimpiazzate da altri. “ Non siamo qui per catturare un’immagine. Siamo qui per mantenerne una. Lo capisci, Jack? E’ una accumulazione di energie senza nome “. Ci fu un altro lungo silenzio.  L’uomo nel baracchino vendeva cartoline e diapositive. “ Essere qui è una specie di resa spirituale. Vediamo solo ciò che vedono gli altri. Le migliaia che sono stati qui nel passato, coloro che verranno in futuro. Abbiamo accettato di essere parte di una percezione collettiva. Questo letteralmente colora la nostra visione. In un certo è un’esperienza religiosa, come ogni turismo”. Ne derivò un altro silenzio. “ Faccio fotografie del fare fotografie “, disse.




sabato 3 novembre 2012

Considera l'aragosta di David Foster Wallace


Confesso di non aver mai capito perché tante persone siano convinte  che una vacanza  divertente significhi mettersi infradito e occhiali da sole e avanzare come formiche in un traffico infernale fino a stazioni turistiche rumorose, calde e affollate, per assaggiare un “sapore locale” che è per definizione rovinato dalla presenza di turisti. Questo  potrebbe (come continuano a sottolineare i miei compagni di festival) essere tutta una questione di personalità e gusti precostituiti: il fatto che non mi piacciano le stazioni turistiche significa che non capirò mai la loro attrattiva e di conseguenza sono forse la persona meno indicata a parlarne (della presunta attrattiva). Ma visto che comunque questa nota a piè di pagina quasi certamente non sopravvivrà all’editing del giornale, ecco qua: Per come la vedo io, probabilmente fa davvero bene all’anima essere un turista, anche solo se una volta ogni tanto. Non bene nel senso di rigenerante o ravvivante, però piuttosto nel senso di truce, sguardo di ghiaccio, guardiamo-in -faccia-la realtà-e-ritroviamo-il-modo-di-affrontarla. La mia esperienza personale non è stata che viaggiare per il Paese ti apra la mente o ti rilassi, né che i cambiamenti radicali di posto e contesto abbiano un effetto salutare, bensì che il turismo internazionale sia radicalmente asfissiante, e umiliante nel modo più duro possibile: ostile alla mia fantasia di essere un individuo vero, di vivere in qualche modo al di fuori e al di sopra di tutto. ( E adesso la parte che i miei compagni trovano particolarmente infelice e repellente, un modo certo per rovinare il divertimento dei viaggi di piacere:) Essere turisti di massa, per me, significa diventare puri americani dell’ultimo tipo: alieni, ignoranti, smaniosi di qualcosa che non si potrà mai avere, delusi come non si potrà mai ammettere di essere. Significa contaminare, per mero ontologia, quell’incontaminatezza che si è andati a sperimentare. Significa imporre la propria presenza in luoghi che sarebbero, in tutti i sensi non –economici, migliori e più veri senza di noi. Significa, nelle code e negli ingorghi, transazione dopo transazione, confrontarsi con una dimensione di se stessi che è tanto ineluttabile quanto dolorosa: come turisti, diventiamo economicamente rilevanti ma esistenzialmente deprecabili, insetti su una cosa morta.