da Tutte le famiglie sono psicotiche di Douglas Coupland, 2012.
Florian si rivolse a Janet. “Quello che dicevo prima,
che il senso della vita è godere delle cose buone, era solo una menzogna
faceta”. “Sono felice di sentirtelo dire.” “Per quel che ne so, Janet, la vita
non è che una serie di perdite, e a ogni perdita c’è bisogno di spostare tutto
l’arredamento della mente, gettare via delle cose, poi c’è un’altra perdita, e
si continua così, in un ciclo infinito.” “Sembra che tu mi abbia letto nel
pensiero, Florian. La vita taglia come una motosega.” “Non è difficile. Quello
che pensi ti appare negli occhi”. Florian finì il cocktail. “Quando l’hai
capito per la prima volta?” “Ero un’ingenua. Credevo ciecamente al copione che
mi avevano consegnato. E poi un giorno, nei primi anni ottanta, mi sono fermata
a un semaforo rosso a Vancouver, e ding! Ho capito all’improvviso che ormai mi
trovavo nella colonna “meno” della vita, e che la colonna “più” era finita. E’
strano come a volte ti rendi conto solo molti anni dopo di quanto profondamente
ti abbiano colpito determinati eventi. E tu?”. “Per me è sempre stato così. La
perdita, la sensazione delle cose che scivolano via. non il denaro, quello non
conta, perché sembra che sia lui a cercare me. Ma tutto il resto: scivola,
scivola, e a un tratto è andato”.
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