sabato 14 aprile 2012

La bicicletta di Leonardo, di Paco Ignacio Taibo II

Perché i disegni preparatori sono spesso più belli del lavoro finale e senza dubbio molto più interessanti? Perché c’è molta più forza in quei tratti inconclusi, nei bozzetti, in certe idee sfumate, che nel risultato voluto e, qualche tempo dopo, ottenuto dal pittore ? Non ci sono dubbi sul fatto che il motivo d’attrazione nel bozzetto incompleto sia dovuto al suo carattere letterario, come se il quadro fosse raccontato attraverso aneliti interiori. Perché in quel momento i disegni sono ancora idee che fluttuano nell’aria prima di aggrapparsi al salvagente finale. Sicuramente nei bozzetti vi è una narrazione del futuro dipinto, ma anche un ponte tra il quadro e le idee che lo hanno generato, i materiali della realtà che si fonderanno in esso. E lì vi sono anche i rapporti del pittore con la materia. Sono meglio i bozzetti del futuro quadro, perché mostrano la sperimentazione, illustrano la ricerca, perché vi è in essi l’intera gamma di alternative e varianti su cui si prevarrà uno, uno solo, l’unico, risultato finale. Appaiono più interessanti perché, oltre a prefigurare il risultato finale, vi si trova il senso della ricerca. Tutto questo, la sensazione che qui sta l’opera finale, e non nel futuro affresco che non dovrebbe neppure esistere, è ciò che probabilmente acuisce le emozioni e il discernere del Mago, nativo di Vinci, di fronte alla visione dei bozzetti di cavalli con cui per lunghi anni costruì la struttura di quell’affresco che sarebbe stato La battaglia di Anghieri e che oggi, con Leonardo ormai tramutato in ossa e polvere, si trovano divisi fra Windsor, Gran Bretagna ( catalogati con i numeri 12326 recto e 12327 recto) e Madrid, Spagna, nella Biblioteca Nazionale come parte del Codice Madrid II. Non furono certo gli ultimi cavalli da lui disegnati. Anni addietro, la statua equestre di Francesco Sforza gli aveva tolto il sonno. Era un progetto di cavallo monumentale in bronzo che non sarebbe mai giunto alla fusione, perché le centocinquantaseimila libbre destinate finirono a Ferrara per trasformarsi in cannoni. Questi erano volti di cavalli in movimento (Hanno un volto i cavalli? Qual è la piuma che guida il volo degli angeli? In quale senso girano le onde al cadere d’una pietra nell’acqua cheta?), selvaggi, con espressioni feroci, come se il clima della battaglia possedesse anche loro e condividessero l’odio dei propri cavalieri. Cavalli incattiviti e sconvolti dalla furia, al punto che uno di essi finì con l’assumere, nei tratti a matita, le sembianze di un leone ruggente.


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